Amore, volontà ed apatia

Le preziose riflessioni di Rollo May sul malessere e la cura nella società contemporanea.

Nel 1969 Rollo May, figura di riferimento della psicologia esistenzialista ed umanista, pubblica Amore e Volontà, considerato tra i suoi lavori quello di più vasta influenza.

Il libro è una contemplazione sulla crisi d'identità dell'individuo moderno e della società tutta. Questa è per May risultato della fatiscenza di due caratteristiche strutturali dell'esperienza umana: l'amore e la volontà. Fra esse non esiste contrapposizione, piuttosto complementarietà: l'espressione autentica della facoltà dell'uomo di esser tale è necessariamente sostenuta dalla conpresenza di entrambi gli elementi. In primissima battuta May afferma che volontà senza amore risulta in manipolazione, mentre amore senza volontà porta al sentimentalismo. L'opposto, o meglio la scomparsa, di amore e volontà porta all'apatia, che sì, può essere una strategia di adattamento all'interno di una realtà sociale iper-stimolante ed isolante, ma che, se non riconosciuta ed affrontata, conduce alla catastrofe. Da qui l'autore indaga sulle componenti di amore e volontà, le loro origini, la relazione fra esse e la loro portata culturale e spirituale.

Alla base dell'amore e della volontà, anima le pagine del testo di May il concetto di daimon: ciò che ha la potenzialità di prendere il controllo totale di una persona, l'energia creatrice e distruttrice dello spirito della terra. “Negare il daimon”, scrive May, “equivale a castrare l'amore e annichilire la volontà”. Il daimon, se integrato nella consapevolezza del proprio sé, cioè riconosciuto e articolato attraverso il proprio corpo, le proprie emozioni, l'espressione artistica ed il linguaggio simbolico, ci spinge alla realizzazione personale e spirituale, in quanto nel daimon risiede la nostra capacità di trascendere i limiti e, appunto, integrarli nella manifestazione del nostro sé nel mondo. Al contrario, se il daimon è negato, ostracizzato o mantenuto impersonale, attraverso ad esempio la tecnologia ed i mezzi di comunicazione di massa, ecco che la sua potenza si tramuta in una spinta impetuosa che ci trascina giù verso l'alienazione, la solitudine, il risentimento, la violenza.

Come già aveva spiegato Socrate, il daimon funziona in qualche modo da guida interiore, è mediatore tra la dimensione personale e quella universale, cosmica, che si relaziona con la Verità ed il Mistero. Esso opera quindi sempre tramite un processo dialogico, ci pone di fronte a dilemmi, richiede il coraggio di incontrarlo viso a viso e l'umiltà di essere consapevoli della sua natura sovrumana.

Fra tutte le manifestazioni del daimon, centrale è quella che May, riprendendo i classici della filosfia greca, definisce Eros, lo stato dell'esperienza umana nel quale si è trasportati verso ciò che agogniamo, verso la meta (o metà) alla quale aneliamo. Eros ci spinge all'unione con l'altro e con l'Alto, pertanto può essere sostrato della nostra creatività, compassione, propagatore di vita, costruttore di comunicazione, comunità e comunione. Di contro, ignorare la presenza di Eros, asfissiarlo sotto il peso di una sessualità ossessiva e vuota, banalizzarlo ad applicazione tecnologica, sono sintomi e cause di una civilizzazione in pieno declino.

May rintraccia un'importante fattore della tendenza ad evitare Eros nel tentativo, fallace, di placare l'ansia del confrontarsi con la finitudine e la morte. Eros, nella sua manifestazione più alta, è il superamento dell'individualità ed il ricongiungimento con ciò che ci rende completi, sani: aprirsi a questa possibilità implica considerare l'abbandono del nostro senso del sé, azzardare la rinuncia alla nostra vita come la conosciamo. L'amore d'altronde, se considerato anche solo nell'ottica del proseguimento della specie, è un ibrido di mortalità con immortalità, Eros distrugge mentre crea. Si capisce allora perchè l'autore individui nell'ubiquità del sesso nei nostri giorni (l'ossessione con la sessualità non fa che rivelare la repressione della passione-Eros) come un segnale della invece miserrima consapevolezza della morte di cui la cultura e la società soffrono. Non è pensabile reprimere Eros senza sopprimere di riflesso la coscienza della nostra mortalità.

Spostando lo sguardo sul tema della volontà, May nota una contraddizione fondamentale del mondo moderno. Sulla carta siamo nella condizione di godere di un grado di libertà di scelta mai prima esistito: ciò è stato reso possibile dalle infinite potenzialità dello sviluppo tecnologico, la dissoluzione delle rigidi regole sui costumi sociali che caratterizzavano le epoche precedenti, il venir meno della funzione preponderante sulla morale individuale delle religioni secolari, il benessere economico raggiunto da una porzione dell'umanità mai così ingente. Come spiegare allora il diffuso senso di impotenza e rassegnazione, proprio ora che l'uomo ha raggiunto vette di potere mai varcate?Il potere comporta scelte, ad esempio su cosa fare col proprio tempo libero, come gestire la propria sessualità, quali terapie mediche scegliere di fronte ad una malattia: alcune di esse in passato venivano più agevolmente compiute sulla scorta di precetti religiosi e morali ampiamente diffusi, altre scelte non erano affatto contemplate, né ipotizzabili. Ecco allora che il numero di scelte da compiere supera di gran lunga la nostra capacità di discernere ogni volta in maniera consapevole. Quella che era libertà di scelta diventa il fardello di dover scegliere.

Nel libro emerge la contrapposizione tra volontà e desiderio. Volontà è la capacità che rende possibile raggiungere un determinato scopo: si può riformulare come l'abilità di rendere realtà il desiderio. Desiderio è definito come lo spensierato immaginarsi un certo evento o possibilità. Come tale, il desiderio ha un innegabile significato simbolico e, anche per questo, un'enorme potere sull'individuo, tanto da portar May ad affermare che non può esistere volontà che non sia preceduta da desiderio. In più, il desiderio ha una chiara origine daimonica, in quanto secondo l'autore “ogni autentico desiderio rappresenta un atto creativo”.

La struttura che consente all'uomo di dare significato al desiderio ed alla volontà è definita da May intenzionalità, la nostra capacità di avere intenzioni, e cioè di volgere la nostra attenzione in una determinata direzione, verso un punto focale. Nel momento in cui percepiamo l'oggetto della nostra attenzione, diamo forma e significato ad esso e, vicendevolemente, esso partecipa alla formazione della nostra coscienza. La tecnologia che consente all'uomo di “concepire ciò che siamo in grado di percepire” è il linguaggio, e nel libro particolare rilievo assume il linguaggio di natura simbolica, elemento del mito e dei sogni, codificato dall'arte ed incorporato anche nel nostro modo di stare al mondo, letteralmente: linguaggio del corpo, ancora prima che dell'espressione verbale.

Il compito di ogni essere umano, dice May, è l'unione di amore e volontà. Per riconciliare amore e volontà bisogna tracciarne la loro comune origine: risalendo il fiume dell'esperienza umana giungiamo a ciò che è costituente inscindibile dal nostro essere, già al suo primo vagito: il prendersi cura. Cura è la dimostrazione che dinnanzi al riconoscimento del tempo limitato a nostra disposizione e alla consapevolezza della nostra fragilità, esiste qualcosa che abbia significato, per la quale valga la pena soffrire. Cura è ciò che precede amore e volontà: entrambi sono movimenti verso l'altro, essi sottintendono una forza che influenza l'altro essendo ugualmente permeabile all'influenza dell'altro. Sono manifestazioni autenticamente e nobilmente umane, cioè mutuali e non manipolative, solo se saldamente ancorate alla cura. Prendersi cura è quindi l'antidoto all'apatia, in quanto apatia è il contrario di amore, l'assenza di volontà. Apatia lasciata inascoltata porta alla violenza, in una spirale viziosa in cui si rimane indolenti di fronte a crescenti dosi di violenza, somministrate a vari livelli (ed ancor più in quest'era di social media).

Qui si giunge ad una riflessione di particolare criticità, se proiettata sull'attuale paesaggio sociale: creare distanza tra noi e l'altro è una strada che inevitabilmente porta all'apatia. È pur vero che per ognuno esiste una determinata soglia di insensibilità di “salvaguardia”, finalizzata a mantenere sanità nel frastuono ineluttabile di stimoli, costantemente rinfocolati dalla pubblicità, dai mass media, dalle dozzine di canali di comunicazione digitale, attraverso gli schermi luminosi ai quali per ore e ore rimaniamo incollati. Sarebbe ragionevole però interrogarsi sul rischio che tale accidiosa tendenza si stia cronicizzando, e già mutandosi nella direzione inevitabile che Rollo May, decine di anni fa, aveva preannunciato. Fosse questo il caso, la buona notizia è che la cura è a portata di mano.


*Bibliografia di riferimento:
May, Rollo; Love and Will; W. W. Norton & Company (1969)